Miles Davis – Bitches brew

1970 –

Anni ’70. Miles Davis si sente un po’ stretto dentro l’hard bop, cerca qualcosa che vada oltre. Già in precedenti album ha fatto uso di strumenti elettrici più tipici del rock che del jazz ma non vuole spaziare in territori già esplorati da altri come il free jazz. Chiama alla sua corte musicisti del calibro di Chick Corea, Joe Zawinul , jack DeJohnette e John Mclaughlin e dà loro poche indicazioni. Si parte! Ne uscirà un capolavoro. Nell’arco di novanta minuti nascono 6 pezzi di lunga durata che segnano un confine o forse lo abbattono. La musica che ne esce è jazz, è rock, è psichedelia, è musica etnica nell’uso delle percussioni. Una rivoluzione che spinge il trombettista verso nuove sonorità che fanno gridare allo scandalo i puristi del jazz, ma che apre prima ad una fase elettronica e poi a sonorità che sfoceranno nel jazz rock. Ma sono la ricchezza sonora e gli spunti musicali, le idee a colpire l’ascoltatore in uno dei più importanti album del geniale trombettista dell’Illinois.

Voto : 4.5/5

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