Angelo Rossi – poesie

1

Gettare il proprio corpo su una torre
e elencare i volti sfioriti
scomposti tra le mani,
attimi persi in un futuro ogni giorno consumato,

chiudere le labbra
perché non sfuggano parole
che a tutto mal si adattano
nell’anima divaricata.

Trovarsi nel terrore dello stesso,
medesimo autore
che ti scruta, seduto nel cratere
di un cuore essicato

e ti guarda senza parlare,
fa versi di grotta rimbombante
nell’incubo della lacerazione
di due identiche sostanze;

così è la solitudine, immateriale,
di occhi di acciaio
che non toccano nulla,
di un me che non si legge,

di un sentimento atrofizzato.
Così è, affranta vecchiaia
vive così, sorriso di lacrima,
la mia discrepanza dalla vita.

 

2

Nulla mi parla più
da occhi otturati,
rotta gioventù
di cieli assiderati;

la terra gronda
filamenti di vuoto,
fossa profonda
di un Dio remoto.

Sono l’ombra tesa
che una luce racconta,
l’oscurità indifesa
di una via che tramonta;

sorride una parola
senza una ragione
di una ragazza sola,
è quasi una passione,

ma nascono secche foglie
sulle mie dita scure:
la voce le raccoglie
in grigie sfumature.

3

Ho seppellito il nostro futuro
sotto i tuoi orridi dubbi,
e l’occhio di marmo ho ingoiato,
per ferire la terra più dura.

Mi guardi dalla grande nebbia
o sei forse il freddo
che mi occupa il cuore?
Tu che afferri le tempie,
incompiuta rivelazione;

sei il niente dei prosciugati letti
di fiumi singhiozzanti:
ti ho scovato tra i versi
più veri di sempre.

Ora non nasconderti più
dietro ad alberi di cenere,
vogliamo le foglie che tu
hai dato alle fiamme:

vieni, ché possa sfiorare
la tua sorridente disfatta,
lascia che risolva in me
il mio io preso in ostaggio
dal vorace nulla.

Tesa disarmonia,
anima stanca,
della malinconia.

4

Siamo usciti per bere un caffè
e tu sai che io l’ho sempre odiato
fluido amaro e mai zuccherato
magma nei ma rappreso, colmo di se

sarò freddo e il più coinciso:
l’uomo che da molto tempo scrutavi
una maschera di carne, un viso;
era il nulla ciò in cui credevi.

Non sono mai stato tanto morto, ma
con il cuore denso di vacuo sangue;
ora, forse, non sai cosa accadrà.

Vento, l’odore del caffè che langue
piangi, lascio il conto da pagare:
non vedo, è tardi, devo andare.

5

Volto incupito
raggelati sensi
sguardo annerito

sibila il vento
pensieri intensi
tetro portento

tesa senza vita
la stele bruciata
e ammutolita

che non sa amare:
roccia assetata
di scelte avare

6

Un labbro che spezzi
il cervello d’acciaio
se mi accarezzi,

ciniche pulsioni
di vecchio usuraio,
scarne emozioni.

Ti posso offrire
una solitudine
per scomparire

ma non ti abituare
alla consuetudine:
posso toccare

un breve calore,
di un volto languido,
lieve rossore

7

Bimbo, sei nato
e sei morto
volto ingoiato

da quel male
vivo e risorto,
astro abissale.

Non sei venuto
mai alla luce
cucciolo ossuto

di te non resta
che una voce,
nota funesta

di grigie risate,
anime acquose
e deportate;

le tue dita, giocose,
toccano il cuore:
quanto dolore.

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